giovedì 17 febbraio 2011

L’eternità e l’immanenza, la mutevolezza e l’essenza peritura delle cose. Quale livello di conoscenza per gli uomini.

Sin dall’antichità essere e divenire hanno rappresentato due grandi interrogativi per gli uomini.

Numerose sono state le interpretazioni ontologiche della natura, monisti e pluralisti sostenevano la teoria degli elementi (fuoco, aria, acqua, terra, o infinità di elementi), gli atomisti sostenevano la realtà dell’essere e del non-essere ponendo l’atomo come elemento ultimo e indivisibile della natura, i pitagorici, ancora, ritenevano il numero sostanza ed elemento costitutivo.

D’altra parte, la mutevolezza e l’entità peritura dei fenomeni terrestri erano evidenti, e da qui le concezioni del divenire e delle trasformazioni, alle volte anche molto diverse come quelle di Democrito e Parmenide.

Anche Aristotele fece filosofia su queste due grandi categorie della natura, spingendosi indubbiamente oltre i suoi predecessori.

Una grande aggiunta che egli fece alla categoria del divenire è la causalità, o fine, del movimento, ovvero egli andò alla ricerca del perché del mutamento, costruendo una fisica relazionale e causale, con una netta distinzione tra il mondo terrestre, appunto, mutevole e perituro, e quello celeste eterno. La causa del moto naturale terrestre è la tendenza immanente dei corpi a raggiungere il loro proprio luogo naturale.

Certamente una delle grandi evidenze da rilevare nelle concezioni di questi filosofi è il tentativo, sebbene affatto completo e compiuto, d’emancipare la natura dalle continue ingerenze del divino, il tentativo di costituire una fisica dotata di regole e leggi proprie auto-consistenti. Certamente il “compimento” di questa “rivoluzione” ebbe bisogno di numerosi altri interpreti.

Ma cosa, in tutte queste trasformazioni, rimane costante? Che cosa non muta in una natura in perenne divenire?

Questa ricerca è sempre stata di grande interesse per l’uomo e ha sempre accompagnato le sue speculazioni quasi a voler pretendere sicurezza e certezze. La tentazione di costituire un universo unico e unificato.

Buridano, nella prima metà del 1300, avanzò la teoria dell’impeto, contribuendo a separare la causa della caduta dal motivo dell’accelerazione dei corpi in caduta libera.

Intorno alla metà del 1300, invece, Nicola Oresme, oltre a proporre il notevole teorema della media, introdusse la quantificazione delle qualità, teoria che diede spunto e influenzò il filone che classifica le grandezze in intensive ed estensive, considerando costante il loro prodotto. Un contributo importante alla ricerca di costanza nella mutevolezza dei fenomeni naturali.

Dunque sono due i principali percorsi che hanno portato a nuovi modelli interpretativi rispetto alla fisica Aristotelica, l’indagine continua del divenire, con particolare riferimento agli elementi costanti del processo, e lo spostamento di prospettiva dallo “scopo” o “fine” alla “meccanica” del movimento.

Il processo d’emancipazione della Fisica è lungo e tortuoso. Sono stati numerosi nella storia i tentativi di costruire macchine che potessero dimostrare l’esistenza del motore perpetuo, una meccanismo che potesse aumentare la propria “vis motrix” senza sottrarla a niente altro. Tuttavia, sebbene molto ingegnosi, nessuno di essi riuscì a produrre una dimostrazione dell’assunto.

E’ fondamentale per la Scienza la posizione che “solo” nel 1775 l’Académie Royale des Sciences di Parigi assunse nei riguardi del motore perpetuo:

La costruzione di una macchina del moto perpetuo è assolutamente impossibile.

Anche ammesso che l'attrito e la resistenza del mezzo non distruggessero infine l'effetto della potenza motrice primaria, tale potenza non potrebbe produrre un effetto uguale alla sua causa; se, poi, si desidera che l'effetto di una potenza sia quello di agire continuamente, I'effetto dev'essere infinitamente piccolo in un tempo dato. Se si riuscissero a eliminare l'attrito e la resistenza, il primo moto impartito a un corpo continuerebbe sempre; esso non agirebbe però in relazione ad altri corpi e l'unico moto perpetuo possibile in quest'ipotesi (che non potrebbe esistere in natura) sarebbe assolutamente inutile e non potrebbe quindi realizzare l'obiettivo che i costruttori di queste macchine del moto perpetuo si propongono. L'inconveniente di queste ricerche è di essere enormemente dispendiose, tanto che esse hanno rovinato più di una famiglia; spesso la meccanica che avrebbe potuto rendere grandi servigi al pubblico, ne ha sperperato i mezzi, il tempo e la genialità. Sono questi i motivi principali che hanno dettato la determinazione dell'Accademia. Affermando di non volersi più occupare di questi argomenti, i membri dell'accademia non fanno altro che dichiarare la loro opinione circa la completa inutilità delle fatiche profuse da coloro che se ne occupano.

E tale assunto, un Principio dunque, produsse nel tempo notevoli risultati.

Ma oltre alla capacità di ottenere risultati, poi superata dai “moderni“ criteri di simmetria e semplicità, quale realtà metafisica si cela dietro le due concezioni di costanza e mutevolezza? Quale livello della realtà della natura è dato conoscere agli uomini?

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