mercoledì 13 ottobre 2010

Quinta lezione: 13-10-2010

Metodologia e storiografia: una critica di Kuhn ai libri di testo, lo schema neopositivista della rete di sicurezza, lo schema di Einstein, l'elaborazione di Holton, le tre componenti di Holton, le tre componenti di Buchdahl, uno schema a quattro componenti. Mappe concettuali
v. presentazioni e l'articolo di Buchdahl: Stili del pensiero scientifico

4 commenti:

  1. Il metodo

    Come si ripercuote tutto ciò sul meccanismo dell’istruzione? E ancora, come si manifesta in quegli ambienti nei quali la ricerca e la scienza sono, o perlomeno dovrebbero essere, l’alimento principale?
    Le parole chiave sono: settorizzazione, specializzazione e confinamento di competenze. Ed è ovvio che il tutto ricada inevitabilmente anche nel metodo e nella qualità dell’istruzione.

    Le prime università

    Le prime università nascono intorno al 1200 e con esse prende vita un nuovo modello culturale.
    I maggiori centri universitari, come ad esempio la “Schola medica salernitana” , sorgono sul modello di istituzioni dell’epoca classica che affondano le loro radici nei nomi di grandi maestri quali Platone e Aristotele. L’obiettivo principale era una decisa risposta nei confronti dell’inadeguatezza dell’insegnamento impartito principalmente da autorità ecclesiastiche.
    Ciò nonostante le principali discipline approfondibili restavano comunque limitate a non più di tre o quattro facoltà; si poteva così scegliere di intraprendere gli studi di arte, medicina, legge o teologia.
    Il modello di riferimento per la cultura universitaria era incentrato sulle cosiddette “arti liberali”: un curriculum di studi composto da sette materie delle quali bisognava essere a conoscenza prima di intraprendere gli studi magistrali della facoltà scelta.
    Veniva pertanto richiesta una preparazione completa su tutte le arti considerate degne di essere studiate, cosicché si disponeva di un biennio comune nel quale venivano impartiti i saperi delle “artes sermocinales” (grammatica, retorica e dialettica) e delle “artes reales” (aritmetica, geometria, astronomia e musica).
    Modello, questo, utilizzato tutt’ora nei nostri moderni licei, con le ovvie e dovute varianti.

    La tragedia italiana

    Facciamo adesso un salto nel presente e precisamente in Italia. Non dobbiamo andare lontano per renderci conto di come questa “omnis cognitio” sia un vano tentativo di uniformare le conoscenze. Tentativo obbligato nell’era dell’istruzione pubblica.
    Ma ciò nonostante basta accendere la televisione per assistere a scene di puro devastamento culturale, o ancor peggio, di naturale ammissione di ignoranza in questo o in quell’altro campo.
    Un esempio per tutti è il rapporto tra gli studenti italiani e la matematica. Almeno uno studente su tre si dichiara totalmente ignorante nel settore e la maggior parte, cosa raccapricciante, non se ne vergogna!
    La matematica, così come le scienza pure in generale, viene declassata a opinione e considerata troppo difficile. Quasi un linguaggio esoterico che necessariamente viene collegato alla parola (peraltro usata impropriamente), genio.
    Ma forse non è del tutto colpa dell’anello finale di una catena che ha origini ben più remote.
    Pensiamo alla scissione tra facoltà umanistiche e scientifiche. Uno scisma radicale che abbraccia gran parte della gente e che non lascia scampo ai luoghi comuni. In Italia questa situazione è ancora più radicale che in altri Paesi, data la forte tradizione artistica e umanistica che ha imperato nel corso dei secoli e a cui è stato dato sempre maggior rilievo.
    Allora qual è il problema? Il problema è uno solo e si chiama metodo. Rimaniamo sul caso della matematica.

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  2. In un’intervista di qualche anno fa (reperibile su: http://www.torinoscienza.it/articoli/piergiorgio_odifreddi_quando_gli_italiani_fanno_a_pugni_per_assistere_a_una_lezione_di_matematica_1465 ), viene chiesto al matematico Piergiorgio Odifreddi se a suo parere l’insegnamento delle materie scientifiche in Italia sia valido da un punto di vista metodologico.
    La risposta a questo punto ci sembra ovvia:
    “In generale non credo sia negativo. L’insegnamento della matematica, però, è ancora molto noioso e meccanico. Prevale il metodo mnemonico, per cui a lezione si insegna un teorema e poi all'esame si pretende che l'allievo ne abbia imparato a memoria la dimostrazione. In altre realtà, come gli Usa, si batte molto più sul chiodo della risoluzione dei problemi e sul fare esercizi. Così, mentre negli Stati Uniti all’Università si danno i compiti agli studenti ogni settimana (corretti e giudicati dagli assistenti dei professori), da noi la verifica della preparazione si risolve in un’unica prova a fine anno (magari un esame orale). È chiaro che verifiche ripetute e sistematiche richiedono un notevole dispendio di tempo ed energie: in Italia nessun docente darà mai compiti tutte le settimane, se poi deve correggerli tutti da solo. Quando insegnavo alla Cornell University mi è capitato di avere un corso di 300 allievi, ma avevo anche 12 assistenti: a quelle condizioni si può anche distribuire un compito a settimana. Diversamente ci si limita, come accade adesso, a una sola prova l'anno. Forse l'Università italiana vive un po' al di sopra dei propri mezzi: non ha sufficiente personale, né risorse.”

    Metodi mnemonici e aridamente algoritmici non sempre, anzi, mai aiutano a sviluppare l’essenza dei concetti matematici fino in fondo.
    Inoltre, un errore comune è quello di suddividere la conoscenza in compartimenti a tenuta stagna. Diviene più comodo parlare di risultati già pronti piuttosto che cacciare il ben più complesso argomento storico-filosofico che vi è alle spalle.
    D’altro canto anche le materie scientifiche sono arte. E come il pittore usa il pennello, il matematico usa le formule.
    Si viene così a creare un circolo vizioso nel quale si preferisce che l’estetismo matematico sia comprensibile solo a pochi eletti, con lo svantaggio che quando si arriva ad affrontare gli studi universitari non si è mai del tutto consci di cosa ci aspetterà. Ma questo riguarda tutti gli ambiti e l’unica cosa certa è che ci si ritrova a scegliere qualcosa e a sacrificare qualcos’altro perdendo un po’ di arbitrio nel prediligere certi approfondimenti che restano, appunto, “settorizzati”. In tal modo è difficile, se non impossibile, che uno studente di lettere faccia un esame di fisica e/o viceversa.
    Ovviamente, come viene messo in risalto anche dalle parole di Odifreddi, la questione abbraccia temi di ben più ampio respiro e non si può certo prescindere dal benessere economico di una nazione, ed in particolare da quanto si investe nella cultura.

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  3. Conant

    Nel 1933 il chimico James Bryant Conant viene nominato presidente della Harvard University.
    Questo personaggio, grazie ad uno spirito innovatore e ad un approccio meritocratico, si rivelerà essere fondamentale per quel processo di sviluppo che porterà l’università di Harvard ad affacciarsi alla realtà mondiale con maggiore impatto.
    È proprio Conant infatti ad introdurre il test d’ingresso (SAT-Scholastic Aptitude Test) come criterio selettivo per l’ammissione all’università. L’obiettivo principale era quello di evitare che l’università fosse una prerogativa dei ceti più abbienti. In tal modo si dava priorità alle capacità intellettuali dello studente piuttosto che alle condizioni sociali.
    Inutile dire che questo metodo, che oggi è esteso a quasi tutte le università statunitensi, fu ripreso ed imitato dalle maggiori università del mondo.
    Un altro aspetto fondamentale della riforma riguarda il rapporto tra scienza e storia, e non solo. Conant, diresse la sua attenzione in particolar modo ai legami tra il mondo classico, dal quale era fortemente affascinato, e quello moderno, introducendo tra le materie fondamentali del curriculum educativo generale, lo studio della storia della scienza.
    Così, per la prima volta, si cerca di evidenziare i legami storico-filosofici che hanno portato alle attuali tecnologie, enfatizzando la dimensione interna e intellettuale dello sviluppo scientifico.
    Attualmente i laureandi statunitensi hanno anche la facoltà di scegliere un certo numero di esami liberamente senza doversi attenere a vincoli dettati dal loro corso di studi.
    Un buon metodo per dar spazio a propensioni e passioni, col vantaggio di sviluppare una forma mentis specializzata e di larghe vedute.
    In un certo senso questo potrebbe essere considerato un passo importante nello sviluppo dell’organizzazione universitaria. In Italia però le attuali riforme non sono d’aiuto. E mentre si cerca di uniformarsi al modello americano, senza risultati, la ricerca attraversa un periodo difficile, e il metodo di insegnamento è ancora basato su parametri troppo diversi da quelli statunitensi.

    Quintiliano

    Ricordo una frase di Marco Fabio Quintiliano oratore e maestro di retorica nella Roma del I sec d.C., nonché uno dei primi pedagoghi della storia. Egli diceva: ”La mente deve essere formata con una lettura attenta e profonda, non con la lettura di molti libri”. Ecco come Quintiliano sottolinea l’importanza della qualità e non della quantità. E non si può negare che questo non sia un altro aspetto importante.
    Affinché si sviluppi una conoscenza aperta e libera è necessario adottare un metodo che non ostruisca le propensioni dello studente.
    La qualità dell’insegnamento quindi dipende proprio da questo. Saper coniugare nel giusto rapporto quantità e qualità, ma anche nozionismo e consapevolezza.

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  4. Novak

    In tutto questo però c’è bisogno di un metodo valido. Un metodo che aiuti a fissare i concetti ragionando e non mandano giù tutto a memoria. Insomma: saper studiare non è certo cosa ovvia e banale.
    Tra i maggiori interpreti e studiosi di queste problematiche non possiamo certo dimenticare l’ideatore della ormai nota e inflazionata mappa concettuale: Joseph Novak .
    Nato nel 1932 Novak insegna prima biologia al Kansas State Teachers College, poi dal ’67 fino al ’95 diventa professore di didattica della biologia presso il dipartimento di scienza dell’educazione alla Cornell University.
    Tra le sue numerose pubblicazioni risalta “Imparando ad imparare” del 1984; qui espone la sua opinione riguardo i metodi di apprendimento e ai metodi per l’applicazione di idee e strumenti educativi negli ambienti scolastici, aziendali e non solo.
    La principale innovazione dei metodi di Novak consiste nell’introduzione di un metodo cognitivo di tipo costruttivista, meglio conosciuto come mappa concettuale.
    Questa metodologia parte dall’assunzione per la quale ognuno di noi è autore del proprio percorso conoscitivo all’interno di un determinato contesto, così, partendo da una certa parola chiave è possibile rappresentare graficamente tutte le conoscenze a riguardo.
    Tutto ciò è mirato alla realizzazione di un apprendimento di tipo “significativo” e non di tipo mnemonico e meccanico. Fare proprie le conoscenze apprese in modo da non dimenticarle più facendole entrare a far parte del proprio bagaglio culturale.
    Per iniziare questo tipo di lavoro, Novak suggerisce di mantenere un certo schema che consta di quattro fasi:
    1. Stabilire la “domanda focale”-il centro del tema da sviluppare;
    2. Cercare di procedere con un ordine- possibilmente dall’alto verso il basso;
    3. Identificare i concetti fondamentali;
    4. Collegare i concetti in modo chiaro e semplice;
    Uno schema semplice e lineare; in grado di fornire un valido supporto intellettuale, capace di strutturare i concetti con precisione rendendoli malleabili e facilmente in grado di adattarsi alle varie situazioni e ancora di più, di evolversi con esse.
    Avere la capacità di elaborare gli impulsi del mondo esterno riuscendone a captare i messaggi più raffinati, è una facoltà da allevare sotto tutti gli aspetti: orizzontali, verticali ma anche diagonali; il tutto però con l’ausilio di un valido metodo discernitivo.

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