sabato 16 ottobre 2010

Sesta lezione:15-10-2010

I presocratici: il passaggio dalle concezioni mitiche e religiose alla filosofia.
Il Diels-Kranz. Frammenti e brani.
La concezione dell'unità, del "principio", del "niente si crea e niente si distrugge". Sostanza unitaria e causa delle trasformazioni.
I monisti: Talete, Anassimandro, Anassimene.
Eraclito. Parmenide e la scuola eleatica.
I pluralisti: Empedocle, Anassagora, Leucippo e Democrito.
L'atomismo di Lucrezio. Conservazione degli atomi e dei loro moti

Origini: nulla si crea e nulla si distrugge
Mentre con Esiodo e Omero gli dei interferiscono continuamente nel mondo, con i filosofi presocratici si afferma una nuova concezione, fortemente innovativa: l'idea, famosa nella sua formulazione latina, che "ex nihilo nil fit" e che "nil fit ad nihilum", cioè l'impossibilità di creare e di distruggere; Epicuro aggiungerà: "altrimenti tutto può venire fuori da tutto". Pertanto la conservazione di una determinata sostanza unitaria, la conservazione della sua capacità d'azione, la possibilità che il divenire venga ridotto ad aggregazioni e disaggregazioni di elementi. Senz'altro tali filosofi offrono un quadro filosofico molto sofisticato e di grande utilità per lo sviluppo della scienza e senz’altro si può dire che la scienza occidentale prenda le mosse dal tentativo di stabilire delle regole per definire una conservazione all'interno del cambiamento (una soluzione al problema del rapporto tra essere e divenire).
Comincia a esplicitarsi con l’idea che “dal niente non si crea niente” e che “niente si distrugge” una visione unitaria del mondo chiusa alle influenze divine (Talete, Anassimene, Anassimandro). Il divenire si manifesta all’interno di questo tutto (Eraclito) ma sorge subito il problema di stabilire i rapporti tra queste due categorie opposte, entrambe necessarie a dare un’interpretazione dei fenomeni naturali: l’essere (inteso come permanenza nel tempo) e il divenire (inteso come cambiamento continuo). Una scuola propone di dare priorità e verità all’essere (Parmenide, Melisso, Zenone) e di declassare il divenire a apparenza. Ma l’esperienza del divenire è difficilmente eliminabile. “Essere” e “divenire” iniziano dunque una lunga battaglia. Tra le due posizioni estreme (Parmenide: il mutamento è illusione, Eraclito: tutto scorre) si affermano teorie intermedie: si arriva pertanto ad identificare l’essere con alcuni elementi base, ad esempio la teoria dei quattro (cinque) elementi, che componendosi e scomponendosi spiegano il divenire, ovvero le trasformazioni (Anassagora, Empedocle, Democrito). Si tratta di una concessione alla categoria della permanenza, dell’essere, ma nello stesso tempo si accetta la realtà del cambiamento: il mutamento è dato dall’aggregazione e disaggregazione di un certo numero di sostanze. Una soluzione geniale viene presentata dagli atomisti: si conservano gli atomi ed i loro moti. Aggregazioni e disaggregazioni degli atomi spiegano le continue trasformazioni. Il mutamento viene identificato con il movimento.

Lucrezio, a Roma, è il cantore di questa tradizione (De Rerum Natura)
Con Epicuro l'idea di conservazione era entrata prepotentemente nel patrimonio filosofico:

Ed ora, secondo queste norme, dobbiamo procedere a considerare le verità che non cadono sotto i sensi. Ed anzitutto, che nulla s'origina dal nulla; perché ogni cosa nascerebbe da qualsiasi cosa, senza bisogno di alcun seme generatore. E se ciò che dispare si dissolvesse nel nulla, tutte le cose sarebbero ormai perite, perché, nelle singole dissoluzioni si sarebbe ridotta al nulla la materia che le costituiva....
Gli atomi poi, sono in continuo moto sempre (e gli uni cadono perpendicolarmente, gli altri declinano spontaneamente dal moto retto, gli altri rimbalzano per l'urto; di questi poi gli uni nel loro moto) divergono lontani fra loro, gli altri trattengono questo stesso rimbalzo, quando siano respinti dagli atomi che ad essi s'intrecciano, o quando sono contenuti da altri atomi fra loro intrecciati. E questo avviene, perché il vuoto che separa gli atomi gli uni dagli altri, non può, per la sua propria natura, opporre ostacolo alla loro caduta: e d'altra parte la loro insita solidità e durezza fa che urtati rimbalzino, finché l'intreccio atomico non li respinge indietro dal rimbalzo. Questi moti poi avvengono ab aeterno, perché eterni sono gli atomi ed il vuoto. (Epistola ad Erodoto)

Lucrezio, il cantore latino dell'atomismo greco, dedica alcuni versi memorabili del primo libro del De Rerum Natura a questa fondamentale concezione:

Nulla si crea dal nulla

Viene da ciò la paura che opprime gli uomini tutti: scorgono in cielo ed in terra prodursi vari fenomeni, fatti dei quali non possono scorgere punto le cause, e che riportano, quindi, alla potenza d'un dio. Ma se tocchiamo con mano che non può nascere nulla dal nulla, allora più chiaramente sapremo comprendere quello che andiamo indagando: donde ogni cosa si generi, e come ognuna si generi, senza che adoperi un dio.
Venga dal nulla potrebbe originarsi ogni specie da tutte le altre, nessuna abbisognerebbe d'un seme proprio. Potrebbero nascere dal mare gli uomini, i pesci squamosi uscir dalla terra, balzar dal cielo gli uccelli. Mandrie, animali domestici ed ogni sorta di belve, nascendo a caso, vivrebbero nei luoghi incolti e nei colti; nè porterebbe ogni pianta sempre i medesimi frutti, bensì diversi, e produrli tutti potrebbero tutte.
Se non vi fosse per ogni singola specie il suo germe, come si avrebbe un'origine certa e distinta per gli esseri? Ma perché viene ciascuno d'essi da un germe specifico si forman là, di là balzano fuori alla luce del giorno dove son insiti gli atomi loro e la loro materia; nè può ciascuno prodursi da ciascun seme, per questo che in ogni cosa v'è insito uno speciale potere.
Perché vedremmo prodursi di primavera la rosa, d'estate il grano, ed i grappoli quando li molce l'autunno, se non perché confluendo, al tempo giusto, certi atomi, erompe quanto si crea, mentre le acconce stagioni durano, e mette alla luce i delicati germogli, senza che corra pericolo, gonfia di vita, la terra?
Mentre, se nascon dal nulla, germoglierebbero a caso, qua, là, d'un tratto ed in epoche, anche, inadatte dell'anno, non esistendo alcun atomo che il clima avverso tenere dal fecondante connubio potrebbe a forza lontano.
Nè ci vorrebbe, d'altronde, posto che nascan dal nulla tempo, onde crescano gli esseri, all'aggregarsi degli atomi, ma in un solo punto i bambini diventerebbero adulti, e salirebbero, appena spuntati, gli alberi al cielo.
Ciò non avviene ma a poco a poco crescono gli esseri tutti, da un germe specifico, e nella crescita serbano inalterata la specie: se ne deduce che crescono e si alimentano di una propria materia. Nè senza le periodiche piogge potrebbe il suolo dischiudere i rigogliosi germogli: né, per il loro organismo, prive di cibo, potrebbero le creature animate perpetuare la specie e conservare la vita.
Non pensar dunque che senza i primordiali elementi qualcosa possa sussistere: pensa piuttosto, che, come le lettere alle parole, a molti corpi comuni sono molteplici semi. E poi, perché la natura non può crear dei giganti tali che guadino il mare e con le mani divellano le cime ai monti, e vivendo varchino i secoli interi, se non per essere data al divenir delle cose la quantità di materia che ne determina il limite? Va confessato, pertanto, che non può nascere nulla dal nulla, quando alle singole cose necessita un seme donde ciascuna si crei, e possa uscire alle miti auree dell'aria Ed infine, poiché val più coltivato che non incolto il terreno, e reca, a chi lo lavora migliori frutti, è da credere vi sian nel suolo dei germi che dirompendo le fertili zolle, e volgendo col vomero la superficie della terra noi sprigioniamo alla vita: perché, se no, senza alcuna nostra fatica, spontaneamente vedremmo sbocciare più rigogliosi i germogli.


Nulla si distrugge

I corpi tutti ne' suoi atomi poi la natura se li dissolve di nuovo, non ne distrugge nessuno. Perché se fosse, una cosa, mortale in tutto e per tutto, ci sparirebbe, morendo, subitamente dagli occhi: a disgregarne le parti ed a dissolverne i nessi non ci vorrebbe l'azione d'alcuna forza. Ed invece, essendo eterni i principi onde si formano gli esseri, fino a che manchi la forza che a furia d'urti li sgretoli, o pei meati vi penetri dentro; e così li disgreghi, non può soffrir la natura che alcuno mai ne perisca. E se annientando totalmente la loro materia distrugge il tempo le cose che fa sparir per vecchiaia donde alla luce del sole potrebbe riportar Venere le varie specie animali, e, riportate, nutrirle ed allevarle la fertile terra porgendo a ciascuna, specie per specie, il suo cibo?
Donde le fresche sorgive ristorerebbero il mare e i fiumi che si dilungan di tanto? L'etere donde potrebbe pascere gli astri? Tutto, quant'è di mortale materia, il tempo infinito ormai trascorso, i millenni, dovrebbe averlo distrutto. Ma se per tutto quel tempo, per tante età son durati, sono i principi che formano questo universo, di certo, d'una immortale natura.
Non può perciò convertirsi cosa nessuna nel nulla.
Sarebbe, infine, la forza stessa la causa che estingue comunemente le cose, se la materia immortale non resistesse, qui meno, lì più legata ne' suoi nessi, in se stessa; e il contatto sarebbe causa di morte: ché, non constando le cose d'atomi non perituri, spezzar dovrebbe ogni minima forza la loro compagine. Ma perché, invece, è dissimile la coesione degli atomi e la materia immortale, restano intatte le cose nella struttura, fin che una forza non le urti bastantemente, adeguata alla testura di ognuna. Non dunque tornano al nulla le cose, ma, disgregandosi, tutte ritornano ad atomi della materia. Rovescia etere, il padre, alla madre terra la pioggia nel grembo: essa scompare, ma s'alzano lussureggianti le messi, e rinverdiscono agli alberi i rami, gli alberi crescono e si fan gravi di frutti. Di qui si nutre l'umano genere e il genere delle fiere: di qui le città fioriscono liete di bimbi, e le frondifere selve cantan, coi nuovi uccelletti, in ogni parte un sol canto: di qui spossati dal loro peso, si sdraian gli armenti nei lieti pascoli, e dalle poppe rigonfie distilla l'umor del candido latte, di qui per entro le tenere erbe, con membra malferme, lascivi ruzzano i redi inebriati di puro latte la mente novella.
Non ciò che sembra perire, dunque, perisce del tutto, perché rifa' la natura cosa da cosa, e non vuole ch'una ne nasca, se un'altra non la soccorra morendo.

La conservazione non era attribuita solo alla materia. Di fondamentale importanza per noi è che gli atomisti attribuivano eternità anche ai moti dei loro atomi, sebbene ovviamente non a ciascun moto individualmente. Anche il moto dunque fu concepito come qualcosa che potesse essere indefinitamente redistribuito, ma mai completamente annullato. Tutti i fenomeni dell'universo consistevano di redistribuzioni di materia-movimento. Una concezione che arriverà fino a Maxwell (Vedi Matter and Motion). Citiamo ancora Lucrezio:


Creazione continua

E non mai fu più compatta di adesso, nè con più grandi intervalli la massa della materia, ché nulla in essa si accresce, nulla si scema in natura.
Quindi quel moto medesimo che hanno ora, gli atomi semplici l'ebbero già per l' addietro, negli evi scorsi, e in futuro sempre saranno aggirati nella medesima guisa, e quanto è solito nascere rinascerà con l'identica sorte, e sarà, crescerà, avrà rigoglio pel tempo che ad ogni cosa è per legge della natura assegnato.
Nè forza alcuna potrebbe alterar mai l'universo ché non v'è luogo né dove possa ritrarsi una parte della materia dal cosmo, nè donde sorgere e irrompere possa nel cosmo una forza nuova, e mutarne l'essenza tutta, e sconvolgerne i moti. E non ti deve stupire a tal riguardo che mentre son tutti gli atomi in moto, pure ci sembra che stia ferma la somma del tutto in una somma quiete, salvo se fa qualche cosa col proprio corpo alcun moto. E ciò perché, per natura, molto lontani son gli atomi dai nostri sensi, e invisibili.


Incontreremo ancora molto spesso questa doppia radice concettuale dell'idea di conservazione: nulla si crea e nulla si distrugge. Eppure i suoi legami con lo sviluppo e la formazione dei concetti di lavoro prima e di energia poi furono molto travagliati.

3 commenti:

  1. In principio era il tutto

    “Sempre era ciò che era e sempre sarà”; di questo ne era profondamente convinto Melisso di Samo, discepolo di Parmenide che, vissuto intorno al V sec. a.C., nonostante le scarse notizie sul suo conto, portava avanti con fervore l’incorruttibilità, l’immutabilità, l’infinità e l’unicità dell’essere.
    Come scriverà il fisico e storico della scienza Arthur E. Haas nella prefazione a “La storia dello sviluppo del principio di conservazione della forza” del 1909, “Il concetto di costanza, il concetto di unità e quello di causalità sono stati in tutti i tempi le più potenti molle motrici di ogni ricerca scientifica”.
    E tutto ciò non può non avere origine se non a partire dai padri della filosofia moderna: i filosofi classici dell’epoca presocratica.
    Facciano quindi un salto nel passato e andiamo con ordine.

    La scuola Ionica di Mileto

    Il principale problema della filosofia antica è cosmologico ed ontologico insieme, cioè rivolto a scoprire l’essenza e il significato dell’essere e della realtà che ci circonda.
    Nel IV sec a.C., sulla costa meridionale dell’Asia Minore si sviluppa la scuola ionica di Mileto (il centro più importante dell’antica Ionia, appunto).
    Tra i principali filosofi che annoveriamo come appartenenti a questa scuola non possiamo certo dimenticare Talete. Di questi non abbiamo rinvenuto scritti, e ciò che sappiamo lo dobbiamo principalmente al primo volume della Metafisica di Aristotele, nella quale traspare il pensiero di Talete, come pensiero panteistico (cioè dove, letteralmente, “tutto è Dio”), ma soprattutto ilozoistico (da hyle, materia, e zoé, vita); cioè rivolto a considerare la materia primordiale come materia fornita di una forza intrinseca che ne genera e ne consente il movimento .
    La ricerca di questo archè primordiale, dunque, assilla le menti dei filosofi Ionici, e porta Talete ad identificare questa sostanza nell’ACQUA: supremo principio sulla quale giace anche la Terra.
    Per Anassimene invece, dall’ARIA nascono tutte le cose che sono e, coerente al pensiero del suo maestro Anassimandro, considera la materia infinita ed in continuo movimento (“àpeiron” che significa allo stesso tempo infinito ed indeterminato).

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  2. Eraclito

    È infine necessario spendere due parole in merito a colui che probabilmente ha più influito nel pensiero filosofico e scientifico delle epoche successive: mi riferisco certamente a Eraclito.
    Vissuto ad Efeso tra il IV ed il V sec a.C., basa la sua filosofia sulla contrapposizione tra la mentalità dei filosofi (la verità) e la mentalità degli uomini comuni (l’errore); cioè tra gli “svegli” e i “dormienti”.
    Ciò che distingue un filosofo vero da un uomo comune, è la capacità di andare oltre le apparenze, di abbandonare l’ingannevole mondo delle idee comuni, e di possedere una visione profonda in grado di concepire il mondo come la corrente di un fiume le cui acque non sono mai le stesse.
    Insomma, un vero saggio è in grado di rendersi conto che “tutto scorre” (panta réi), e nulla resta mai come prima. È così che Eraclito si è guadagnato l’epiteto di “filosofo del divenire”.
    Come per Talete il principio del tutto aveva origine dall’acqua e per Anassimene dall’aria, per Eraclito il principio delle cose è il FUOCO; quale elemento rappresenterebbe meglio la visione eraclitea del cosmo come energia in perpetua trasformazione: l’essere è divenire.
    Tutto cambia nel tempo, tutto si trasforma e assume altre sembianze, perché anche ciò che sembra statico in realtà è dinamico e soggetto alla trasformazione. Perché, in fin dei conti, niente viene dal nulla e nulla può confluire nel nulla se non trasformarsi in qualcos’altro.
    A questo punto del discorso mi chiedo cosa accomuni Eraclito e William Shakespeare. La domanda sembra appunto tirata “fuori dal nulla”: e qui casca l’asino.

    Shakespeare (ma non è il solo) dopo più di venti secoli eredita questa concezione e la mette silenziosamente in risalto nel suo “Re Lear” di cui riporto l’estratto originale della prima scena del primo atto:

    “ KING LEAR: [...]What can you say to draw
    A third more opulent than your sisters? Speak.
    CORDELIA: Nothing, my lord.
    KING LEAR: Nothing!
    CORDELIA: Nothing.
    KING LEAR: Nothing will come of nothing: speak again.”

    Meraviglioso. Ecco come una grande frase, una grande idea, una grande verità, sopravvive ai secoli nel suo splendore, e nella sua illimitatezza giunge ad influenzare persino l’immaginazione artistica di un grande poeta del teatro.
    Ex nihilo nihil fit. Questo è il succo. Succo che ha origine da una fonte purissima che è quella del pensiero classico e che scorre fino a noi riversandosi nei bacini della nostra quotidiana esperienza.
    Ma questa affermazione è davvero così scontata? Ebbene no. Nei secoli si è cercato di capire sempre di più quanto ciò potesse essere verificato, e quello che noi oggi chiamiamo con leggerezza principio di conservazione dell’energia, altro non è che il travagliato e tuttora incerto risultato di un cammino scientifico che a quanto pare ha origini ben più remote di quelle che potessimo immaginare.

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  3. Dalla scuola eleatica ai fisici pluralisti

    La filosofia degli ionici viene di solito descritta dal termine “monista”, termine che sta ad indicare qualsiasi sistema filosofico che si sforzi di ricondurre la multiforme realtà del mondo ad un unico principio in grado di manifestarsi in molteplici fenomeni.
    Vi è tuttavia un’altra scuola che ebbe origine nelle colonie greche dell’Italia meridionale, e sviluppò la sua sede più fiorente ad Elea, l’attuale Velia, in Campania.
    Il pensiero eleatico si contrappone nettamente a quello ionico, pretendendo di giungere ad un essere unico eterno ed immutabile: così, mentre per i filosofi di Mileto l’essere si identificava in una sostanza fondamentale in grado di trasformarsi nel tempo, per i filosofi di Elea questa sostanza è immutabile ed eterna. Sostanza che non è manifestazione del divenire ma piuttosto ne è immagine.
    La filosofia di Parmenide, considerato il fondatore di questa scuola, racchiude al meglio il significato più profondo di questa corrente di pensiero.
    Secondo Parmenide infatti, l’unico modo per disquisire senza errore la realtà che ci circonda è adottare la via della ragione. Il filosofo deve quindi distinguere la via della ragione, basata sulla verità, dalla via dell’opinione, basata sui sensi. Solo a partire dalla verità si può indagare l’essere e arrivare a concepirlo come qualcosa che è, e che non potrà mai non essere; e di conseguenza interpretare il vuoto e perciò il non essere come qualcosa che non è e che non sarà mai essere.
    Dunque mentre la filosofia di Eraclito è riassumibile nella frase “tutto diviene, nulla è”, quella di Parmenide può essere sintetizzata come “tutto è, nulla diviene”.
    Affine al pensiero del maestro Parmenide era senza ombra di dubbio Melisso di Samo di cui abbiamo parlato a inizio capitolo.
    Ben diverso è l’approccio adottato da quei filosofi come Empedocle, Anassagora e Democrito, i quali ritengono che i principi della natura siano molteplici e che perciò vengono definiti “fisici pluralisti”.
    Essi si pongono da un lato come conciliatori delle due precedenti filosofie (accettando sia l’idea del divenire di Eraclito che quella dell’immutabilità dell’essere “vero” di Parmenide), dall’altro, al fine stesso di evitare conflitto tra le due teorie in apparenza tanto diverse, si impongono come geniali innovatori.
    È proprio ai fisici pluralisti che si deve la distinzione tra “composti” (intrinsecamente mutevoli), e “elementi” (immutabili). Così essi sono in grado di ritenere che le cose del mondo siano costituite di elementi eterni (che Democrito chiamerà “ATOMI”) che unendosi tra loro danno origine alla “nascita”, e disgregandosi, alla “morte”.
    Ed è questo il primo passo verso il principio secondo il quale, in natura, nulla si crea nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.

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